MANSON

drammaturgia, costumi Chiara Lagani
regia, luci, progetto sonoro Luigi De Angelis
con Andrea Argentieri

Premessa

Nella storia dell’umanità esistono o sono apparse figure studiate dalla criminologia o dagli storici che hanno catalizzato l’attenzione e in alcuni casi il desiderio di rispecchiamento di moltissime persone a tutte le latitudini e longitudini del mondo, a prescindere dall’estrazione sociale o culturale dei singoli.

Si tratta di personaggi la cui psiche e vicenda personale hanno intercettato i sintomi di trasformazioni epocali del momento e che hanno continuato o continuano ancora oggi a generare magnetismo e riverberazioni nonostante questi personaggi oggi non siano più in vita.
Non sempre queste figure possono essere considerate positive o appartengono alla cosiddetta sfera del “bene comune” ma anzi e spesso sono apparse come manifestazioni individuali o programmatiche di eventi criminali singoli o collettivi, e ascrivibili alla sfera di quello che è considerato dai più il “male assoluto”.

Ben sappiamo per via degli studi e delle interpretazioni ormai note di filosofi, psichiatri, storici, sociologi che queste cosiddette manifestazioni e incarnazioni del male sono in realtà da ricondurre alla tessitura e all’intreccio generati dallo spirito di un tempo storico, e che si tratta dei sintomi di una malattia collettiva che trova la propria espressione convogliando le proprie energie e il proprio veleno tramite il corpo di un personaggio ben preciso, che funge da catalizzatore.
Sappiamo bene che ognuno di noi non si autodetermina, ma piuttosto è l’espressione di una fitta ragnatela di connessioni, di una tessitura complessa, di un mosaico generato da moltitudini di atteggiamenti, di espressioni, di emozioni, di sentimenti, di manifestazioni psichiche e che ognuno di noi contiene in sé una comunità non solo di sguardi, ma di tipi e di caratteri. Ben lo sanno gli attori, che imparano a gestire la folla di caratteri da cui sono abitati.
Siamo parlati e scritti dagli altri, dalla frammentazione che ci circonda e se mai il lavoro di una vita sta nell’accettare la complessità del labirinto che siamo e che abitiamo quotidianamente e cercare di trovare un’unità e una bilancia tra la moltitudine di forze che ci esprimono, sapere abbracciare il politeismo che ci caratterizza.

La crescita individuale all’interno della difficile e ormai allo sbando società odierna necessita dello scioglimento, ammorbidimento, superamento di fissazioni infantili, che, se non convogliate bene o risolte possono ripetersi schematicamente all’infinito in contesti apparentemente “adulti”, ma che di adulto hanno ben poco e se mai sono estremamente pericolose perché si manifestano sotto forma di degenerazioni che esprimono atti criminali individuali o collettivi, in cui uno o più individui o addirittura una moltitudine rimane parte lesa o vittima.
Laddove il trauma infantile si fissa e non è risolto genera in chi l’ha subito il desiderio di creare o ricreare le condizioni traumatiche vissute in prima persona di nuovo e ancora a se stessi o negli altri; è una legge quasi matematica, un motore quasi automatico ricorrente della nostra società che non vuole comprendere la necessità profonda di una possibile crescita tramite la cura del trauma e il viaggio terapeutico nelle profondità della psiche.
Chi ha subito un abuso ricercherà sempre durante la vita le condizioni che hanno reso familiare quell’abuso oppure cercherà di abusare qualcun altro: è una logica difficile da accettare ma che si perpetua con costanza e ciclicità.

Alcune figure che hanno fatto della propria condizione psichica un manifesto incarnato di vita e di espressione nel mondo, sono diventate icone del proprio tempo e continuano ad esserlo anche a distanza di decenni. Si tratta per lo più di personaggi che esprimono la malattia e le ambiguità di un dato periodo storico continuando a esercitare un fascino immutato e talvolta addirittura aumentato. Attorno a queste figure si crea una vera e propria mitologia facendo sì che esse non siano più figure della storia ma continuino a esistere nella coscienza collettiva come avatar o archetipi incarnati che ci appaiono in nuove forme: artistiche, sociali, politiche, comportamentali.
Spesso questi personaggi hanno espresso tramite il proprio corpo, tramite la prossemica, la propria voce, il proprio sguardo e la mimica facciale una straordinaria e inquietante forza interiore, così come tutta la complessità e l’ambiguità della psiche, suscitando un magnetismo carismatico molto potente che è stato in grado di sedurre moltissime persone, che ne sono diventate seguaci o fans. Si pensi a Adolf Hitler, ad esempio.
Charles Manson è una di queste figure.

Ritratto criminale?

Charles Manson è stato un criminale statunitense, noto per essere stato ritenuto il mandante di due fatti di sangue famosi nella storia degli Stati Uniti d’America: quello dell’eccidio di Cielo Drive, in cui furono assassinati Sharon Tate e quattro suoi amici, e quello ai danni di Leno LaBianca e di sua moglie.

Nato nel 1934, fin dalla giovane età Manson frequenta penitenziari e riformatori, per episodi di furti, bullismo, aggressioni, sfruttamento della prostituzione. Nel 1967, uscito di carcere, Charles Manson decise di divenire un musicista mettendo a frutto le capacità musicali acquisite in carcere; dichiarò in seguito di essere stato un fan dei Beatles. In tempo per la Summer of Love, si trasferì a San Francisco dove raccolse intorno a sé un gruppo di giovani – in particolare di sesso femminile – soggiogati dal suo carisma, dalla sua chitarra e dalle sue capacità oratorie. Per la fine del 1967 il gruppo si mise a vagabondare in un autobus scolastico dipinto di nero. Durante un anno e mezzo Charles Manson e una decina di ragazzi girovagarono a bordo del bus fino a fermarsi in California e insediarsi in zone isolate che circondavano Los Angeles. Presero il nome di The Family (“La Famiglia”), o anche The Manson Family, sebbene Manson abbia sempre negato di aver dato egli stesso quel nome al gruppo. Questo nome infatti fu “creato” dal procuratore distrettuale Vincent Bugliosi e sfruttato dalla successiva onda mediatica per identificare in generale le persone che vivevano allo Spahn Ranch. La comune raggiunse il numero di circa cinquanta persone: molti di loro erano ragazzi che avevano avuto una vita dura come Charles, con problemi familiari e spesso di disadattamento sociale mentre altri provenivano da famiglie ricche. Manson era da questi considerato un leader religioso oltre che morale. Alcuni membri della comune credevano che Manson fosse la reincarnazione di Gesù Cristo e di Satana insieme. Nei primi mesi del 1969, Manson diffuse fra i suoi discepoli la paranoia parlando di un futuro scontro interrazziale tra bianchi e neri al termine del quale la Famiglia, rimasta nascosta in un mistico pozzo nella Valle della Morte, sarebbe stata chiamata ad assumere il comando supremo.

Il 9 agosto 1969 Manson, secondo l’accusa del procuratore Vincent Bugliosi, pianificò e ordinò l’eccidio di Cielo Drive, a Los Angeles. I membri della “Famiglia” non ebbero nessuna pietà per i presenti. L’ultima vittima fu l’attrice Sharon Tate, 26 anni, moglie di Roman Polanski, incinta di otto mesi, finita con numerose coltellate. Con uno straccio intriso del sangue dell’attrice, scrissero sulla porta dalla quale avevano fatto irruzione “PIG”. Il termine viene usato in modo spregiativo nei confronti dei poliziotti e Piggies è il titolo di una canzone dei Beatles. I massacri della setta non si placarono e il giorno seguente furono uccisi l’imprenditore Leno LaBianca e sua moglie Rosemary; i due furono colpiti da più di quaranta colpi di arma da taglio e il cadavere di Leno LaBianca fu ritrovato con un forchettone conficcato nello stomaco e un coltello nella gola. Su una parete interna venne scritto “Death to Pigs” col sangue delle vittime e sul frigorifero in cucina furono tracciate le parole Healter Skelter, con una svista ortografica.

Qualche giorno prima, il 27 luglio 1969, la prima vittima della “Manson Family” era stato un insegnante di musica, Gary Hinman, che qualche mese prima aveva dato ospitalità alla Family, finendo poi per cacciarli. Hinman venne accoltellato da Bobby Beausoleil: sulla parete fu tracciata la scritta “Political Piggy”, ovvero “Porco politico”; tali scritte, secondo il procuratore distrettuale Vincent Bugliosi, furono ordinate da Manson ai suoi seguaci per cercare di depistare le indagini e far accusare dell’omicidio i neri.
Il processo cominciò nel 1970 e durò tantissimo. Il procuratore distrettuale Vincent Bugliosi riuscì a fare condannare a morte anche Charles Manson, nonostante non fosse concretamente implicato. Durante il processo nacque un caso mediatico di risonanza mondiale, sfruttato e alimentato anche dallo stesso Bugliosi che scrisse un libro bet seller sul caso, Helter Skelter, in cui analizza tutte le fasi processuali, dando una sua interpretazione dei fatti e un giudizio su Manson che rimane quella più accreditata.

Leggendo il libro è evidente il fascino che Manson esercitava sullo stesso Bugliosi; non a caso i due erano riusciti a costruire a loro modo un dialogo.
Manson ha finito i suoi anni in carcere perché la California ha annullato la pena di morte, successivamente alla condanna, commutando la pena all’ergastolo. Manson si è sempre dichiarato innocente e negli ultimi anni sono molte le analisi che lo scagionano o fanno pensare che non abbia avuto nessun coinvolgimento diretto, neanche come mandante, negli eccidi.
Il caso Manson è stato oggetto di tantissimi libri, canzoni, testi teatrali, film, tra cui C’era una volta Hollywood di Quentin Tarantino.
Ancora oggi teorie di ogni tipo, accusatorie o difensive continuano a alimentare quello che può essere definito un mito incarnato.