DEGAGE!

Nous, qu’avons encore 25 ans.

a cura di Anna Serlenga
Con: Assem Betthouami, Saoussen Babba, Rabii Brahim, Ayman Mejri
Dramaturg: Daniel Blanga Gubbay
Luci: Riccardo Clementi
Immagini e video: Nawres Arfaoui
Regia: Anna Serlenga

“Dio mio, ma allora cos’ha lei all’attivo?…” “Io? – [un balbettio, nefando
non ho preso l’optalidon, mi trema la voce di ragazzo malato] – Io? Una disperata vitalità. ”
P.P. Pasolini, Poesia in forma di rosa

Era il 2005, nelle banlieue francesi bruciavano le macchine e le gole di ragazzi ostinati ad urlare la loro rabbia per notti intere. Roman Cheneu pubblicava un testo teatrale intitolato Res Persona, lasciando sospeso tra le righe un interrogativo pungente: qual è la condizione minima dell’accettazione, quale la vita che non ha bisogno di essere cambiata?

Nelle prime settimane del 2011, la Tunisia si infiamma di una rivolta che, come un rapido contagio, travalica i confini e si estende fino a toccare tutti i paesi del Nord Africa e oltre. Rivolte che troppo presto sono state definite “primavere arabe”, che vediamo oggi esplodere nelle molteplici forme caotiche e radicali di guerre civili, dalla Siria all’Egitto. Eppure tra la polvere resta la dignità per un’azione sentita, anche fosse per un solo istante, come necessaria.

Dégage vuole essere il racconto di questa necessità. Tre ragazzi di Tunisi portano in scena davanti a noi frammenti di questo nostro tempo, che ci appartiene e ci sfugge. Il tempo di un improvviso sollevamento, dei figli che rimangono orfani dei padri o della loro stessa volontà, il tempo della collera, della dignità, e talvolta di una sorda impotenza. Al limite tra necessità di testimonianza e desiderio di evasione, rifiutano ogni retorica della rivoluzione, per mostrarne gli aspetti più cupi.

Eppure non rinunciano in fondo a rivendicare con orgoglio quello che hanno fatto: perché ciò che di aperto c’è in questa loro esposizione di fronte a noi non è tanto una ferita, ma una domanda silenziosa: quale la vita che non ha bisogno di essere cambiata?

Attraverso scritture di scena, filtrate dal testo di Roman Cheneau e da drammaturgie contemporanee, testimonianze dirette contrappuntano un’esile quanto esibita trama di finzione. Un teatro che si fa corpo vivente, campo di forze e fatiche, documentazione poetica, ma soprattutto domanda aperta, in cui al linguaggio video fa sponda il movimento e una parola secca e diretta. Restituire con Pasolini la disperata vitalità della rivolta, ma non per farne storia, racconto civile; quanto più per interrogare noi, sull’altra sponda del mediterraneo.

È tempo di mettere da parte un orientalismo abituato a interrogare l’altro, per essere infine sottoposti a una domanda.
Come in un gioco di bambini, attori testimoni si raccontano per parlare dell’oggi, di chi è sceso in strada, di chi si è sacrificato, di chi invece è rimasto a casa, di chi vuole cambiare paese, di chi resta, di chi sogna, di chi si imbarca, di chi perde il lavoro, di chi non lo trova, di chi si sente morire, ma anche di chi vuole vivere, vivere di una disperata vitalità. Tra le infinite derive di un paese ancora instabile ma vivo, è come se ogni azione potesse attraversare il mare per infine interrogarci: quale la vita che non ha bisogno di essere cambiata?