ULTIMA NOTTE MIA

Ultima-notte-miaTeatro i

un monologo di Aldo Nove
con Erika Urban
progetto e regia Michele De Vita Conti
assistente alla regia Valentina Gamna
direzione tecnica Anna Merlo

Mia Martini è stata trovata riversa sul suo letto, le cuffie ancora sulle orecchie, una mattina del Maggio 1995. Stava lavorando ad una sua canzone. Moltissime cose si son dette sulla sua morte. Poche vere o plausibili ma tutte clamorose. Pur senza ignorarle, non è certo la ricerca di una qualche verità o di unasoluzione di un giallo, che ci anima.

La vita di Mia Martini è un esempio raro, se non unico, di come l’ignoranza e l’invidia possano distruggere non solo la carriera di una persona, ma la persona stessa. Il “branco”, “il branco che uccide”, espressione tanto abusata dai cronisti, non è qui formato da ragazzini alterati, da skinhead idrofobi, da una curva piena di ultrà. Qui i teppisti sono travestiti da produttori discografici, da impresari, da intellettuali e soprattutto, da artisti. Tutto un ambiente, per solito considerato “aperto” e all’avanguardia, ha scientemente massacrato per anni e anni non solo una persona, ma un’artista di grandissimo talento, per mezzo di uno stereotipo medievale. Fino a costringerla al ritiro dalle scene, al silenzio, all’esilio. Un’etichetta, quella della innominabile iettatrice, che una volta appiccicata, non permette alcuna autodifesa: “Se dicessero che ho l’A.I.D.S., potrei fare un test e smentirli, ma così…”, pare abbia detto la stessa Mia Martini alla sorella Loredana Berté.

Mi chiamo…, il libro di Aldo Nove a lei dedicato ed edito da Skira a febbraio del 2013, è già di per sé scritto come un monologo. Un testo dolce e malinconico nel quale la malinconia non è sinonimo né sintomo di pigrizia, ma memoria di una grandissima vitalità che è andata estinguendosi. Questo, forse, possiamo raccontare teatralmente: lo spegnersi poco a poco di una vita gigantesca. Ce la immaginiamo nel suo letto grande e vuoto che, come per Rossellini e Carmelo Bene, era studio, scrivania e comunque luogo di lavoro più che alcova. La sua ultima notte è cominciata come sempre solitaria ma piena di musica: quella sua e quella degli artisti che amava. E via via, la notte si anima di presenze e ricordi. Mentre il letto diventa nave, casa, spiaggia, palco del teatro Ariston. Vorremmo davvero, così come in passato abbiamo fatto per l’Orson Welles cucito addosso a Giuseppe Battiston o, con meno clamore, per i coniugi Edgar e Virginia Poe e per Antoine de Saint-Exupéry, far rivivere in scena la persona e la sua energia, più che il personaggio. Evocata, come i precedenti, in una sorta di discreto, a volte ironico, sempre affettuoso, rito di voodoo teatrale.
Michele De Vita Conti